L’evoluzione del cervello dall’Australopiteco all’Homo sapiens

Circa 40 milioni di anni fa, l’aumento improvviso di ossigeno rappresentò un momento fondamentale per gli esseri viventi sulla terra. La nuova energia acquisita e le possibilità di difendersi meglio dai predatori comportarono una pressione ambientale maggiore da dover affrontare.

La capacità di sapersi adattare, infatti, rappresenta da sempre non solo la base della sopravvivenza, ma anche dei cambiamenti filogenetici di una specie, così come della formazione di nuove.

Quando parliamo di filogenesi facciamo riferimento proprio al processo che ha portato un insieme di organismi a nascere e ad evolversi. Questo a differenza della ontogenesi, che descrive invece la crescita del singolo individuo, e che può essere assimilabile al concetto di invecchiamento.

Durante l’evoluzione anche il cervello ha subito importanti modificazioni, diventando man mano sempre più complesso. Nell’ultimo milione di anni la capacità cranica è cresciuta enormemente, favorendo la comparsa di organismi in grado di manipolare l’ambiente.

La scatola cranica dell’australopithecus

Il primo genere di ominide, comparso circa 4 milioni di anni fa, viene definito australopithecus, ed era caratterizzato da una scatola cranica piuttosto piccola, denti di tipo umano ma più grandi. Sarà però solo l’homo abilis, comparso 1,3 milioni di anni dopo, a possedere l’uso del pollice opponibile. Il nostro antenato diretto, l’homo sapiens, comparso solo 195.000 anni fa, era invece caratterizzato, oltre che dalla postura eretta, da mani robuste e denti più forti. Era inoltre capace di generare il fuoco, oltre che di preservarlo.

Per favorire il miglioramento delle abilità motorie e sociali, l’homo erectus (comparso 1,8 milioni di anni fa) e in seguito l’homo sapiens erano stati dotati dalla natura di un cervello inevitabilmente più grande. La dimensione assoluta dell’encefalo degli ominidi era infatti triplicata nel tempo, passando da una media di 450 cm³ nell’australopithecus a 1.345 cm³ nell’homo sapiens.

L’indice di encefalizzazione

Considerando l’indice di encefalizzazione (ovvero il peso relativo del cervello rispetto al peso del corpo) è stato possibile ricostruire come il peso del cervello, nell’uomo, sia iniziato quindi a crescere indipendentemente da quello del fisico. Ciononostante, altri fattori hanno permesso agli esseri umani di differenziarsi in maniera marcata dagli altri animali.

La formazione della neocorteccia figura sicuramente come una di queste caratteristiche. Questa porzione è infatti responsabile delle capacità di ragionamento superiori degli esseri umani (le cosiddette funzioni esecutive), ed occupa in questi una parte di cervello tre volte maggiore rispetto ad altri mammiferi superiori.

Un altro aspetto fondamentale è inoltre quello della girificazione della corteccia. Il 70 % della corteccia è infatti nascosta tra i solchi. Con l’evoluzione il cervello è riuscito a diventare quindi più complesso, aumentando le proprie connessioni e le nostre possibilità, mantenendosi però nelle dimensioni della scatola cranica.

Anche se queste trasformazioni hanno inevitabilmente comportato dei costi nell’uomo, come ad esempio dei tempi più lunghi di gestazione, la dipendenza prolungata dagli adulti e più alti costi metabolici, maggiori sono stati i benefici dal punto di vista della sopravvivenza, della vita sociale, dell’apprendimento e dell’adattamento. Tutte caratteristiche alla base di quella civilizzazione sulla quale possiamo contare oggi giorno.

fonti:

  • DeFelipe, J. (2011). The evolution of the brain, the human nature of cortical circuits, and intellectual creativity. Frontiers in neuroanatomy5, 29.

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